La percezione di essere parte del genere maschile non è un passaggio scontato, talvolta la si raggiunge attraverso un fatto traumatico, allora sei costretto a chiederti come sia possibile essere uomini esattamente come quei padri, fratelli, fidanzati, amici che fanno della violenza contro le donne il loro saluto di tutti i giorni. Amare una donna e sentirsi raccontare che con la stessa giustificazione le veniva usata violenza può essere la leva iniziale per porsi domande sulla propria sessualità, sul proprio genere, sulle modalità con le quali si entra in contatto con i corpi delle altre e degli altri. Assai più complicato è sentirsi parte di quel genere "causa di disagio" per le proprie simili di cui ha scritto Lea Melandri su questo giornale. Ulteriore difficoltà pensare di collocarsi tra coloro che in termini classici definiamo "sfruttati", "subalterni", "oppressi" e invece essere al contempo il genere agente dell´oppressione. Definirsi "compagni" e rendersi conto che può non bastare.Oggi, 30 settembre, alle ore 11 a Roma, presso la Direzione nazionale del Prc, i Giovani comunisti di genere maschile daranno il via a un percorso di discussione finora mai sperimentato, nato (tra ambiguità e risa) durante il campeggio nazionale a Sapri: "Dalla De-Generazione alla Ri-Gener-Azione maschile". L´inizio di un cammino che ci faccia uscire dal paradosso per cui la violenza contro le donne, che appare sui media solo con la sua faccia marginale, quella pubblica dello stupro, che troppe volte ha visto vittime bambine o neo-adolescenti, è un fatto che riguarda solamente il genere femminile. Il paradosso è che, mentre la seconda causa di morte in Europa per le donne è la violenza domestica, e un genere accusa l´altro di un fenomeno strutturale di dimensioni eclatanti, la politica e il genere maschile percepiscono i fenomeni di violazione come fatti che riguardano la devianza di singoli e il tutto sembra essere confinato al capitolo della delinquenza sommaria al pari dello scippo, o dell´omicidio come regolamento di conti. La sola esistenza di un movimento, quindi di una reazione conflittuale collettiva, è il segno che non si tratta della devianza di alcuni.
L´appuntamento di oggi servirà a iniziare un bilancio dell´esperienza del doppio portavoce (un uomo e una donna) che la nostra organizzazione ha scelto durante la scorsa conferenza nazionale, ma anche e soprattutto nasce dalla necessità di porre un tema in un momento di riorganizzazione della politica a sinistra. Il tema è questo: mentre lottiamo per una società alternativa, pensare al superamento del neoliberismo, considerare equamente importanti e intrinsecamente legati diritti civili e diritti sociali non basta, se non ci poniamo l´obiettivo del sovvertimento del timbro dei rapporti tra i generi. L´obiettivo dell´abbattimento del totalitarismo patriarcale, che non ha distinzione di classe. Siamo convinti che questo sia un dibattito che da subito deve inondare la sinistra. Il venti ottobre saremo in piazza sapendo che tra quei passi la sinistra incomincia a muoversi.La profondità delle diverse piattaforme che si stanno esprimendo attorno a questa data ci dicono che il venti ottobre assume il carattere di un giro di boa per la sinistra di questo paese. Editoriali di giornali distanti dai promotori incensano la data come il battesimo di una nuova sinistra unita e plurale. Ci saremo, contro una precarietà che cancella le relazioni tra i corpi, che torna ad alimentare la dipendenza delle nuove generazioni dalla famiglia di partenza, tanto che questa assume sempre di più, i caratteri di un vero e proprio ammortizzatore sociale. Una precarietà che alimenta la creazione di un welfare familistico e ripropone la famiglia - quella declinata al singolare, nucleare, eterosessuale, incollata dal matrimonio - come unica certezza nella repentinità dei cambiamenti della vita di ciascuno e quindi unico soggetto al quale lo stato destina fondi e legittimazione. Ma se questa data e gli attimi dopo saranno dedicati a cos´è la sinistra, vogliamo dire come la pensiamo. Noi, un soggetto, non il solo, della trasformazione di questa società verso un´altra , che per essere alternativa davvero è allo stesso modo contro la pervasività dell´impresa come ideologia deformante dei rapporti umani, e la preminenza di un genere sugl´altri. Sconfitta l´una non è automaticamente sconfitta l´altra. Da subito la mobilitazione deve tenere assieme queste due grandi questioni sapendo che le modalità di lotta sono profondamente diverse ma una non può essere più importante e visibile dell´altra. Questo conflitto, per la sua portata, per la sua difficoltà di costruzione, perché è altrettanto radicale quanto quello di classe, perché attacca le radici della società che vorremmo trasformare, non pensiamo possa essere confinato all´artifizio intellettualistico di alcuni, alle citazioni nei momenti congressuali, al "convegnismo". Lanceremo un appello a tutta la sinistra perché nel momento della sua riorganizzazione noi ci si possa porre il problema che le modalità con le quali staremo assieme non possono essere neutre. Scegliamo una sinistra capace di essere alternativa all´imputridimento culturale che porta a vivere la cronaca nera della violenza contro le donne facendo il tifo per un incriminato contro un altro senza leggere quanto di noi c´è sulla scena di quel delitto.
Daniele Licheri & Luca Stanzione - (Pubblicato su "Liberazione" del 5/11/2007 )
mercoledì 21 novembre 2007
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1 commento:
La non violenza , questa scelta della non violenza , rimette in discussione molta parte di noi stessi e molta parte della nostra storia ; non per tutti nelle stesse forme .
La violenza è la storia dell'umanità ,che è storia di guerre , dalla violenza sono nati gli stati , violente le rivoluzioni. E anche il patriarcato segna la storia dell'umanità , nella "culla della democrazia " , Atene , le donne in pubblico non avevano il diritto di parola , il silenzio era virtù femminile.
Nella politica è stato violento il linguaggio , ha dominato la logica amico nemico (i compagni hanno ucciso i compagni), violenti gli strumenti per lo strutturarsi di un potere. E ancor oggi molte questioni sono irrisolte , che gidizio dare dei "dittatori di sinistra" ? sono di sinistra ?La cultura della non violenza viene dal pacifismo e dal femminismo, ma da un tempo lungo queste voci non sono state così presenti , capaci di comunicare , il femminismo a volte avvolto in linguaggi che non metto in discussione , ma a me poco comprensibili. Niente di grave, ovviamente. Di recente son tornati a farsi sentire , finalmente.
A Roma , all'assemblea del 8 / 9 dicembre la sinistra l'arcobaleno , mi è parso che, come non mai in passato , in una sede politica queste voci , questa forza della cultura della non violenza sia stata organica all'insieme del messaggio politico.
Speriamo in bene : che "la non violenza" sia con voi.
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