Devo dire che quando ho letto l’articolo di Luca ho avuto due impressioni: la prima la conferma che aprire un Blog insieme a lui per interrogarci sia fondamentale per ridurre i tempi cartacei di risposta e andare alla velocità di un sms.
E la seconda che quando si fanno riflessioni a voce alta si ha voglia di dialogare; come un grande “brain storming” in realtà invitiamo tutta la comunità virtuale (che tanto virtuale in realtà non è) ad un percorso di condivisione di spazio pubblico cosa che su un giornale non puoi fare.
Dico questo perché oggi più che mai l’idea di attraversare le mille comunità in rete “provando a raccontarsi per non dimenticarsi (come dice benissimo luca nel suo pezzo)” di una generazione che per la prima volta nasce con una precarietà esistenziale come condizione di partenza e che quindi non si identifica più con il proprio lavoro o con la propria comunità come tutto il novecento ci narra ma che scioglie la propria essenza, le proprie passioni dentro i mille cunicoli che ci offre il Web ci dice qualcosa di nuovo.
.
La ricerca di identità che non è più costruzione, ricerca, ma un continuo consumarsi frettolosamente. Luca dice si vive alla giornata io aggiungo si vive sospesi in attesa di qualcosa che ci scuota, un strappo momentaneo, una rottura, una scossa.
Come un fast food delle relazioni in cui gesti, azioni, movimenti vengono svuotati di un senso collettivo e mutano dunque da desideri da inseguire a trasgressioni da consumare.
Una disintegrazione delle emozioni e dei desideri che trasformano i corpi in oggetti e le relazioni e gli affetti come una perdita di tempo perchè fuori da una logica produttiva del “e tu cosa mi dai in cambio?” .
Senza un particolare sguardo sul mondo, senza un valore delle differenze ma con una ricerca della morbosità e della condivisione che diventa animalesco (vedi il fenomeno del bullismo o le ronde notturne alla caccia di Migranti) e tutta dentro la logica dell’amico-nemico l’incontro tra generazioni non è più punti di vista che si confrontano, si contaminano e magari si trasformano ma diventa totalmente altro.
Perché non capita spesso che i nostri stessi compagni non facciano un percorso politico di liberazione e di affermazione del sé ma piuttosto una sorta di terapia? Come dire sto male, mi sento insoddisfatto dunque frequento il mio collettivo/circolo per stare meno male. Diventare un vomitatoio pubblico tipo circolo degli alcolisti anonimi e invece appunto frequentissimo anche nel nostro partito. Ed è tipico un doppio scontro quello generazionale e fra generi. Oggi si rischia una normalizzazione della politica rispetto allo scossone degli anni scorsi, un ritorno ai professionisti e ai militonti (che non esistono più o quasi) e dunque a chi si può permettere di fare politica. Soprattutto una totale scissione e dunque un vero scontro con una politica asessuata che espelle donne e movimento GLBT e giovani generazioni (intesi come portatori di pratiche diverse) dalla politica ufficiale.
Spesso assumono le vesti di nevrosi e solitudini che provano a schiacciarsi a vicenda. Dolori e alienazioni che producono distruzione e autodistruzione come segnale di esistenza. Ovvero esisto e dunque ti elimino come affermazione della propria identità.
Il movimento anti-globalizzazione teneva tutti dentro, soprattutto quella sinistra larga e diffusa che non ha più delle identità precostituite forti come nel novecento ma scegli di attraversare degli spazi. L’attivismo e non la militanza contraddistingue gli ultimi anni in italia.
Vuol dire avere tante tessere in tasca o nessuna ma soprattutto come tratto in comune avere una pluralità di luoghi da frequentare diversi ma degli obiettivi comuni. Per i più tradizionalisti sarà brutto il paragone ma vivere le mille possibilità sul web (oggi spesso un corteo studentesco se funziona lo vedi su MSN ovvero se tutti i ragazzi e le ragazze nei giorni precedenti ne parlano fra di loro in chat vuol dire che la cosa sta funzionando) significa esplorare dei luoghi più o meno di socialità dove conoscersi e conoscere. Il boom dei blog ci dice in sintesi (per tornare a quello che dice Luca) che li puoi raccontarti al mondo per dichiarare la tua esistenza, come una volta i ragazzi si incontravano al “muretto” del proprio quartiere oggi la “punta per beccarsi” ci se la dà on-line.
E come distinguere più fra il pubblico e il privato?Bella domanda. E sopratutto il corpo in tutto questo che fine fa?
Come dice Luca se non si modificano gli spazi i tempi e i modi delle attuali forme organizzative della politica l’unica cosa che potremo fare e ricomporre (forse) le generazioni politiche che ci hanno precedute espellendo di fatto tutto quello che oggi si muove intorno a noi e che dovrebbe essere invece il punto di partenza per la costruzione di una nuova sinistra.
Daniele Licheri
mercoledì 19 dicembre 2007
lunedì 17 dicembre 2007
Agire il Conflitto Generazionale da sinistra, nella società, nella Sinistra
Si è aperto un conflitto tra generazioni agito, forse per la prima volta, dalla generazione precedente su quella successiva. Questa settimana passa dalle lettere rivolte al IlVenerdì: un padre accusa una figlia, non sua, di “aver avuto troppo”. Qualche settimana fa Panorama usava l’intera copertina per accusare la “Generazione degenerata”, quella dei ventenni, descritti come alcolizzati, dediti a rapporti sessuali frugali e di gruppo, drogati, psicolabili, writers (usato come sinonimo di Pericolosi Devastatori) e se qualcuno vuole aggiungere: prego. All’elenco aggiungerei i vari Porta a Porta sul “caso Garlasco” di turno, in cui i protagonisti siedono rigorosamente nel pubblico. Si rivolge loro qualche domanda, mai che possano esprimere pensieri articolati. L’amnesia del conduttore rispetto alle vicende del figlio non è fatto secondario. Così per una generazione intera si può usare l’aggettivo di: degenerata, e al contempo dire, “chiaramente eccetto mio figlio e i miei nipoti”. Il meccanismo, mi si passi la similitudine forzata, è quella usata per i migranti “tutti delinquenti! tranne il mio portinaio”. Per fugare ambiguità dico da subito che non parlo dell’alveo della politica in cui lo scontro tra generazioni ha il suo portavoce in Enrico Letta. Di certo non manca anche tra chi fa politica, soprattutto a sinistra, ma è riflesso di un vuoto di comunicazione tra generazioni che attraversa la società come delle febbri sottocutanee.
Sicuro è che la mia generazione, al pari della società, è una generazione sciolta, frantumata o come ha detto Niki Vendola con una “frattura multipla”. Vive di una comunicazione veloce sullo schermo di un cellulare o tra i battiti di una chat. Viviamo l’incorporeità delle relazioni vissute per buona parte attraverso i mezzi di comunicazione. Perdiamo la percezione delle conseguenze del nostro corpo in contatto con quello degl’altri ed intanto filmiamo tutto con la webcam. Forse è la necessità di poterci riconoscere, ritrovarci. Fermare, filmare, immortalare pezzi di noi stessi nel tempo. Questo vale non soltanto per le efferatezze di cui i giornali parlano ma anche per le migliaia di filmati, che sono la stragrande maggioranza, rintracciabili su YouTube. Abbiamo bisogno di raccontarci per non perderci, per questa ragione viviamo flussi di coscienza sui blog. È la generazione in bilico permanente segnata da una Precarietà che diventa il “vivere alla giornata”. In cui si perde la percezione della continuazione del tempo. Precarietà intesa non soltanto come quella del lavoro ma che diventa sinonimo di frettolosità, tempestività. Abbiamo identità precarie in continua definizione. Siamo la generazione in cui l’identità di ognuno perde punti di riferimento dati una volta per tutte. È una ricerca dell’identità che non ha mai fine.
Noi che oggi stiamo in quella sinistra che ambisce alla ricostruzione di una e complessa identità collettiva. In quella sinistra che oggi si unisce dovremmo avere l’ambizione di ricostruire le sinapsi nella frantumazione della società altrimenti l’unità è confinata solo tra chi fa politica nei partiti, ad oggi, solo una minoranza. Ho vissuto sia gli “Stati Generali” di Milano sia l’Assemblea della sinistra sentendomi testimone, insieme a pochi altri, di una generazione politica che qualche tempo fa animava il movimento pacifista e contro la globalizzazione e che oggi sta sui territori a riappropriarsi di pezzi della propria esistenza. Credo, che dovremmo tornare ad agire noi, da sinistra, il conflitto generazionale. Pena: lasciarlo alla destra. Basta dare un’occhiata ai siti web dei movimenti studenteschi neofascisti in cui lo scontro con la generazione precedente viene piegato a scontro con la generazione del Sessantotto-Settantasette, ovvero: nuova generazione contro generazione dei “professori comunisti”. Penso al conflitto generazionale inteso come: riconoscimento di una differenza portatrice di uno sguardo sul mondo, una lettura delle cose che accadono differente solamente perché è quella di chi oggi vive nel presente la sua storia. Conflitto generazionale come “agire la differenza”, insieme ad altre differenze, per scongiurare la Sinistra come soggetto neutro senza sessualità e senza età.
Luca Stanzione
Sicuro è che la mia generazione, al pari della società, è una generazione sciolta, frantumata o come ha detto Niki Vendola con una “frattura multipla”. Vive di una comunicazione veloce sullo schermo di un cellulare o tra i battiti di una chat. Viviamo l’incorporeità delle relazioni vissute per buona parte attraverso i mezzi di comunicazione. Perdiamo la percezione delle conseguenze del nostro corpo in contatto con quello degl’altri ed intanto filmiamo tutto con la webcam. Forse è la necessità di poterci riconoscere, ritrovarci. Fermare, filmare, immortalare pezzi di noi stessi nel tempo. Questo vale non soltanto per le efferatezze di cui i giornali parlano ma anche per le migliaia di filmati, che sono la stragrande maggioranza, rintracciabili su YouTube. Abbiamo bisogno di raccontarci per non perderci, per questa ragione viviamo flussi di coscienza sui blog. È la generazione in bilico permanente segnata da una Precarietà che diventa il “vivere alla giornata”. In cui si perde la percezione della continuazione del tempo. Precarietà intesa non soltanto come quella del lavoro ma che diventa sinonimo di frettolosità, tempestività. Abbiamo identità precarie in continua definizione. Siamo la generazione in cui l’identità di ognuno perde punti di riferimento dati una volta per tutte. È una ricerca dell’identità che non ha mai fine.
Noi che oggi stiamo in quella sinistra che ambisce alla ricostruzione di una e complessa identità collettiva. In quella sinistra che oggi si unisce dovremmo avere l’ambizione di ricostruire le sinapsi nella frantumazione della società altrimenti l’unità è confinata solo tra chi fa politica nei partiti, ad oggi, solo una minoranza. Ho vissuto sia gli “Stati Generali” di Milano sia l’Assemblea della sinistra sentendomi testimone, insieme a pochi altri, di una generazione politica che qualche tempo fa animava il movimento pacifista e contro la globalizzazione e che oggi sta sui territori a riappropriarsi di pezzi della propria esistenza. Credo, che dovremmo tornare ad agire noi, da sinistra, il conflitto generazionale. Pena: lasciarlo alla destra. Basta dare un’occhiata ai siti web dei movimenti studenteschi neofascisti in cui lo scontro con la generazione precedente viene piegato a scontro con la generazione del Sessantotto-Settantasette, ovvero: nuova generazione contro generazione dei “professori comunisti”. Penso al conflitto generazionale inteso come: riconoscimento di una differenza portatrice di uno sguardo sul mondo, una lettura delle cose che accadono differente solamente perché è quella di chi oggi vive nel presente la sua storia. Conflitto generazionale come “agire la differenza”, insieme ad altre differenze, per scongiurare la Sinistra come soggetto neutro senza sessualità e senza età.
Luca Stanzione
giovedì 13 dicembre 2007
Inconscio di gruppo e telescopage.Ma esiste ancora la psicoanalisi?
Di alcuni giorni fa un convegno a Roma della Società italiana di psichiatria su "generi e generazioni"
Intervista alla psicoanalista Manuela Fraire. Un punto sull'elaborazione freudiana, sulla maternità e sulle nuove paternità di Roberta Ronconi
Inconsci di genere, psichismi generazionali, telescopage. Nei giorni scorsi, la Società italiana di psichiatria ha dedicato due giorni di riflessioni al tema "Generi e generazioni. Ordine e disordine delle identificazioni" (Roma, 1 e 2 dicembre). Termini complessi e linguaggi spesso sinuosi e oscuri, per dire cose che invece ci riguardano da vicino. Perché quando si parla di generi e di diversità, si dice di me donna, di te uomo, di lui gay, di lei lesbo, di noi queer e di tutto quello che chiunque altro può declinare nel mezzo. E quando si parla di generazioni si parla di tempo, di ciò che pesa sulle nostre spalle del passato, di ciò che peserà, sulle spalle dei prossimi a venire, della nostra esperienza presente.
La psicoanalisi non parla così, non sempre, non ancora, non tutta. Ma c'è chi, anche nelle maglie dell'ufficialità teorica freudiana, sa sciogliere qualche nodo ed avvicinarsi alla comunicazione, quella vera, quella fatta per dire e comprendere. E' il caso di Manuela Fraire, psicoanalista freudiana da oltre trent'anni, da sempre partecipante al pensiero e alla pratica del movimento femminista, che al convegno romano ha contribuito con una relazione su paternità e maternità, oltre le dipendenze biologiche. Sembra un tema accademico e invece parla di futuro, l'unico possibile ed auspicabile. Quello in cui le famiglie esploderanno per dare vita ad altro tipo di organizzazioni e legami socio-affettivi.
Ma partiamo dai temi annunciati dal convegno. Da queste generazioni e dai loro legami, che poi immaginiamo sia un modo complesso per porsi la domanda che oggi va per la maggiore: chi sono questi giovani che stiamo procreando, dove stanno andando, che vogliono, che pensano? La psicoanalisi è in grado di fornirci risposte in merito?
Sì, in questi tempi si sente molto parlare di giovani e della difficoltà di interpretarli. Se ne parla come se fossero un'unica indistinguibile marmellata, in una generalizzazione a mio avviso folle. Generalizzazione che la psicoanalisi non ha fatto mai, nella costante necessità di segnare la differenza tra padri, madri e figli. E' di Freud l'intuizione che la generazione che precede non può, in virtù dell'esperienza che ha, appropriarsi della generazione che segue. Così come la generazione che segue non può in alcun modo cancellare la strada da cui proviene. E le ultime acquisizioni analitiche ci dicono anche che le generazioni presenti possono essere influenzate persino da ciò che le generazioni passate hanno rimosso e relegato nell'inconscio.
Certo, questa dimensione psicoanalitica di gruppo sembra cozzare con la struttura individuale dell'inconscio. In che modo le due dimensioni si incontrano?
Intanto, ricordiamo che la dimensione plurale del soggetto analizzato è presente anche in Freud sin dai tempi di "Psicologia delle masse e analisi dell'io". E anche a questo convegno romano, una delle principali relazioni al centro della discussione è stata quella del francese Kaes che definisce gli analisti come "organizzatori metapsichici e metasociali". Come individui psichici nasciamo nella relazionalità e nella gruppalità. Ma allo stesso tempo è fondamentale tenere ferma la barra delle singolarità, altrimenti rischiamo concetti omologanti. E, come sappiamo, l'omologazione delle individualità porta ai regimi totalitari, di tutti i segni. La psicanalisi è riuscita a sopravvivere e a rimanere attuale proprio perché ha tenuto duro sulla necessità di guardare alle soggettività sia come entità singole che come relazione con la pluralità. Che sia famiglia, quartiere, città, nazione, mondo. E oggi, anche etnia.
La società freudiana riesce ad attualizzarsi in questo senso? E' elastica al cambiamento, fuori e dentro di sé?
Come il resto del mondo, anche la società freudiana, grazie al cielo, è fatta di moltissime individualità. Come si diceva prima, la dimensione sociale della psicoanalisi è talmente attuale che il relatore principale di questo convegno parla di analisti come operatori meta-sociali. Ma anche in questo campo ci sono dei rischi, come quelli di chiudere gli individui in "ghetti" etnici o generazionali. Per evitarli e trovare le strade più adatte alla psicoanalisi, ci vogliono semplicemente operatori con un buon grado di partecipazione desiderante e passionale verso ciò che succede nel mondo, anche fuori dallo studio.
Già, lo studio. A volte può somigliare a una prigione, almeno per il paziente. Ma è un luogo rischioso anche per l'analista?
Sì, nel momento in cui si trasforma in un ambiente troppo protetto, quindi claustrofobico.
Vorrei farti una domanda generica, per riuscire a capire qual è la condizione della ricerca in questo momento. Qual è lo stato di salute della psicoanalisi?
La psicoanalisi non esiste, esistono "le" psicoanalisi, anche dentro la scuola freudiana. Uniformare non farebbe giustizia. Lo stato di salute è quello di una famiglia che si è molto allargata e che ha fatto anche matrimoni meticci. E quindi ha necessariamente integrato al proprio interno aspetti della vita del pensiero ed esistenziali che Freud non poteva conoscere. Semplicemente perché alla sua epoca non esistevano.
Il movimento femminista, tanto per fare un esempio. Come quell'esperienza ha contaminato la psicoanalisi, in pensiero e pratica?
Il lavoro che ho portato a questo convegno parla del femminismo inteso anche come operatore meta-sociale, nel senso che ha dato struttura a un immaginario sulla donna distantissimo da quello vivo all'epoca di Freud. Lui aveva intuito di appartenere a un mondo in cui le donne potevano parlare solo tramite l'isteria, ma lì si era fermato. Deve arrivare l'emancipazione femminile, la centralità della madre elaborata da Melanie Klein, la nascita del pensiero della differenza e delle donne che elaborano per sé un valore simbolico a tutto campo, per operare un'inversione direi epocale.
Cosa ha rivoluzionato nella psicoanalisi, il femminismo?
La necessità di pensare alla differenza dei sessi non come a una diseguaglianza, ma ad una diversità. Anche la psicoanalisi ha a lungo avvalorato questa seconda ipotesi, sostenendo l'idea di un femminino tutto inscritto nel binario della passività, dell'accoglienza. Curioso, dico io, che questo immaginario si sia andato strutturando proprio alle soglie dell'esplosione del capitalismo, con le donne ritenute più adatte alla riproduzione che non alla produzione...Non sarà un caso, no?
Sta inserendo nel discorso una dimensione politico-economica che forse non appartiene a tutta l'elaborazione psicoanalitica attuale....
E infatti secondo me il motivo dell'inattualità di certi aspetti della grande teoria psicanalitica sul femminile andrebbero ricercati non tanto all'interno della teoria stessa, quanto nel contesto della storia del capitalismo borghese. Se non si raggiunge questa dimensione, continueremo a litigare tra scuole senza capire che c'è un dialogo continuo tra la psicanalisi e i tempi in cui la psicoanalisi vive che la modificano e terremotano da dentro.
Quali sono le conclusioni che ha tratto, nel suo intervento?
Che siamo di fronte alla modificazione di due modelli fondamentali che organizzano la nostra società: la famiglia e il materno. Il posto che queste due entità - così strettamente collegate tra loro - stanno oggi occupando nella vita delle persone non è più quello di un tempo. Per capire di cosa parlo, bisognerebbe rileggersi Derrida e quel magnifico libro-intervista rilasciato alla psicoanalista Elisabeth Roudinescu poco prima di morire, dal titolo: "Quale domani". Nel capitolo "Famiglie disordinate" Derrida spiega come finché ci sarà una rete umana che si organizza intorno alla procreazione (quindi alla riproduzione della specie) chi riproduce sarà sempre meno importante. L'importante è che si crei un legame di trasmissione.
Un modo per dire che la famiglia sta, finalmente, esplodendo, almeno per come la conosciamo oggi?
Esistono già le famiglie monogenitoriali (che hanno spesso ancora la madre al centro), ma secondo le mie osservazioni presto sarà il padre la figura centrale. Un discorso sul quale sto lavorando molto, quello di una nuova paternità che nasce da una sensibilità maschile che ancora non abbiamo sufficientemente analizzato. Gli uomini non come supplenti delle madri, ma con un originale contatto con la primissima infanzia dei propri bambini. Ma questo è un altro discorso, che spero avremo modo di affrontare presto.
Intervista alla psicoanalista Manuela Fraire. Un punto sull'elaborazione freudiana, sulla maternità e sulle nuove paternità di Roberta Ronconi
Inconsci di genere, psichismi generazionali, telescopage. Nei giorni scorsi, la Società italiana di psichiatria ha dedicato due giorni di riflessioni al tema "Generi e generazioni. Ordine e disordine delle identificazioni" (Roma, 1 e 2 dicembre). Termini complessi e linguaggi spesso sinuosi e oscuri, per dire cose che invece ci riguardano da vicino. Perché quando si parla di generi e di diversità, si dice di me donna, di te uomo, di lui gay, di lei lesbo, di noi queer e di tutto quello che chiunque altro può declinare nel mezzo. E quando si parla di generazioni si parla di tempo, di ciò che pesa sulle nostre spalle del passato, di ciò che peserà, sulle spalle dei prossimi a venire, della nostra esperienza presente.
La psicoanalisi non parla così, non sempre, non ancora, non tutta. Ma c'è chi, anche nelle maglie dell'ufficialità teorica freudiana, sa sciogliere qualche nodo ed avvicinarsi alla comunicazione, quella vera, quella fatta per dire e comprendere. E' il caso di Manuela Fraire, psicoanalista freudiana da oltre trent'anni, da sempre partecipante al pensiero e alla pratica del movimento femminista, che al convegno romano ha contribuito con una relazione su paternità e maternità, oltre le dipendenze biologiche. Sembra un tema accademico e invece parla di futuro, l'unico possibile ed auspicabile. Quello in cui le famiglie esploderanno per dare vita ad altro tipo di organizzazioni e legami socio-affettivi.
Ma partiamo dai temi annunciati dal convegno. Da queste generazioni e dai loro legami, che poi immaginiamo sia un modo complesso per porsi la domanda che oggi va per la maggiore: chi sono questi giovani che stiamo procreando, dove stanno andando, che vogliono, che pensano? La psicoanalisi è in grado di fornirci risposte in merito?
Sì, in questi tempi si sente molto parlare di giovani e della difficoltà di interpretarli. Se ne parla come se fossero un'unica indistinguibile marmellata, in una generalizzazione a mio avviso folle. Generalizzazione che la psicoanalisi non ha fatto mai, nella costante necessità di segnare la differenza tra padri, madri e figli. E' di Freud l'intuizione che la generazione che precede non può, in virtù dell'esperienza che ha, appropriarsi della generazione che segue. Così come la generazione che segue non può in alcun modo cancellare la strada da cui proviene. E le ultime acquisizioni analitiche ci dicono anche che le generazioni presenti possono essere influenzate persino da ciò che le generazioni passate hanno rimosso e relegato nell'inconscio.
Certo, questa dimensione psicoanalitica di gruppo sembra cozzare con la struttura individuale dell'inconscio. In che modo le due dimensioni si incontrano?
Intanto, ricordiamo che la dimensione plurale del soggetto analizzato è presente anche in Freud sin dai tempi di "Psicologia delle masse e analisi dell'io". E anche a questo convegno romano, una delle principali relazioni al centro della discussione è stata quella del francese Kaes che definisce gli analisti come "organizzatori metapsichici e metasociali". Come individui psichici nasciamo nella relazionalità e nella gruppalità. Ma allo stesso tempo è fondamentale tenere ferma la barra delle singolarità, altrimenti rischiamo concetti omologanti. E, come sappiamo, l'omologazione delle individualità porta ai regimi totalitari, di tutti i segni. La psicanalisi è riuscita a sopravvivere e a rimanere attuale proprio perché ha tenuto duro sulla necessità di guardare alle soggettività sia come entità singole che come relazione con la pluralità. Che sia famiglia, quartiere, città, nazione, mondo. E oggi, anche etnia.
La società freudiana riesce ad attualizzarsi in questo senso? E' elastica al cambiamento, fuori e dentro di sé?
Come il resto del mondo, anche la società freudiana, grazie al cielo, è fatta di moltissime individualità. Come si diceva prima, la dimensione sociale della psicoanalisi è talmente attuale che il relatore principale di questo convegno parla di analisti come operatori meta-sociali. Ma anche in questo campo ci sono dei rischi, come quelli di chiudere gli individui in "ghetti" etnici o generazionali. Per evitarli e trovare le strade più adatte alla psicoanalisi, ci vogliono semplicemente operatori con un buon grado di partecipazione desiderante e passionale verso ciò che succede nel mondo, anche fuori dallo studio.
Già, lo studio. A volte può somigliare a una prigione, almeno per il paziente. Ma è un luogo rischioso anche per l'analista?
Sì, nel momento in cui si trasforma in un ambiente troppo protetto, quindi claustrofobico.
Vorrei farti una domanda generica, per riuscire a capire qual è la condizione della ricerca in questo momento. Qual è lo stato di salute della psicoanalisi?
La psicoanalisi non esiste, esistono "le" psicoanalisi, anche dentro la scuola freudiana. Uniformare non farebbe giustizia. Lo stato di salute è quello di una famiglia che si è molto allargata e che ha fatto anche matrimoni meticci. E quindi ha necessariamente integrato al proprio interno aspetti della vita del pensiero ed esistenziali che Freud non poteva conoscere. Semplicemente perché alla sua epoca non esistevano.
Il movimento femminista, tanto per fare un esempio. Come quell'esperienza ha contaminato la psicoanalisi, in pensiero e pratica?
Il lavoro che ho portato a questo convegno parla del femminismo inteso anche come operatore meta-sociale, nel senso che ha dato struttura a un immaginario sulla donna distantissimo da quello vivo all'epoca di Freud. Lui aveva intuito di appartenere a un mondo in cui le donne potevano parlare solo tramite l'isteria, ma lì si era fermato. Deve arrivare l'emancipazione femminile, la centralità della madre elaborata da Melanie Klein, la nascita del pensiero della differenza e delle donne che elaborano per sé un valore simbolico a tutto campo, per operare un'inversione direi epocale.
Cosa ha rivoluzionato nella psicoanalisi, il femminismo?
La necessità di pensare alla differenza dei sessi non come a una diseguaglianza, ma ad una diversità. Anche la psicoanalisi ha a lungo avvalorato questa seconda ipotesi, sostenendo l'idea di un femminino tutto inscritto nel binario della passività, dell'accoglienza. Curioso, dico io, che questo immaginario si sia andato strutturando proprio alle soglie dell'esplosione del capitalismo, con le donne ritenute più adatte alla riproduzione che non alla produzione...Non sarà un caso, no?
Sta inserendo nel discorso una dimensione politico-economica che forse non appartiene a tutta l'elaborazione psicoanalitica attuale....
E infatti secondo me il motivo dell'inattualità di certi aspetti della grande teoria psicanalitica sul femminile andrebbero ricercati non tanto all'interno della teoria stessa, quanto nel contesto della storia del capitalismo borghese. Se non si raggiunge questa dimensione, continueremo a litigare tra scuole senza capire che c'è un dialogo continuo tra la psicanalisi e i tempi in cui la psicoanalisi vive che la modificano e terremotano da dentro.
Quali sono le conclusioni che ha tratto, nel suo intervento?
Che siamo di fronte alla modificazione di due modelli fondamentali che organizzano la nostra società: la famiglia e il materno. Il posto che queste due entità - così strettamente collegate tra loro - stanno oggi occupando nella vita delle persone non è più quello di un tempo. Per capire di cosa parlo, bisognerebbe rileggersi Derrida e quel magnifico libro-intervista rilasciato alla psicoanalista Elisabeth Roudinescu poco prima di morire, dal titolo: "Quale domani". Nel capitolo "Famiglie disordinate" Derrida spiega come finché ci sarà una rete umana che si organizza intorno alla procreazione (quindi alla riproduzione della specie) chi riproduce sarà sempre meno importante. L'importante è che si crei un legame di trasmissione.
Un modo per dire che la famiglia sta, finalmente, esplodendo, almeno per come la conosciamo oggi?
Esistono già le famiglie monogenitoriali (che hanno spesso ancora la madre al centro), ma secondo le mie osservazioni presto sarà il padre la figura centrale. Un discorso sul quale sto lavorando molto, quello di una nuova paternità che nasce da una sensibilità maschile che ancora non abbiamo sufficientemente analizzato. Gli uomini non come supplenti delle madri, ma con un originale contatto con la primissima infanzia dei propri bambini. Ma questo è un altro discorso, che spero avremo modo di affrontare presto.
martedì 11 dicembre 2007
Ue sollecita Italia a recepimento norme contro omofobia
La Commissione europea ha scritto una lettera a Italia, Lettonia e Finalandia lamentando il mancato recepimento delle direttive contro le discriminazioni per l’orientamento sessuale. Lo ha riferito oggi a Bruxelles il deputato europeo Marco Cappato che aveva presentato una interrogazione sul mancato recepimento della direttiva 2000/78/ce contro le discriminazioni per orientamento sessuale.
La Commissione europea ha annunciato oggi di avere inviato ai tre Stati membri “lettere d’ingiunzione relative a problemi manifesti concernenti il pieno recepimento delle disposizioni che vietano ogni discriminazione basata sulle tendenze sessuali”, ha detto Cappato.
“Si prevede che nei prossimi mesi la Commissione prenderà un’ulteriore decisione per quanto riguarda i provvedimenti per infrazione”, ha aggiunto.
L’argomento è di attualità in Italia dopo che la senatrice Pd Paola Binetti, dell’area teodem, ha negato il proprio voto di fiducia al governo sul decreto sicurezza la scorsa settimana per protesta contro la norma sulla parità di genere introdotta con un emendamento della sinistra radicale
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ArciGay: «Non voteremo più questa maggioranza» - 11 Dicembre 2007
«Sia chiaro fin d’ora che non dimenticheremo, in occasione delle prossime elezioni politiche, chi tra qualche giorno intenderà cancellare le norme antidiscriminatorie contenute nel decreto sicurezza. Se, come ha detto Benigni, questa maggioranza ha vinto grazie al voto di 24 mila coglioni gay, assicuriamo da oggi che molti e molti di più di costoro non si faranno più gabbare». Con queste parole Aurelio Mancuso, presidente nazionale dell’ArciGay, apre un comunicato durissimo contro l’attuale maggioranza, dopo le prese di posizione in Senato delle componenti cattoliche, a volte apertamente omofobe – viene citato il caso della senatrice Paola Binetti dell’Ulivo. L’ArciGay ricorda con preoccupazione che l’Italia sta diventando un paese dove è difficile vivere per le persone glbtq. E Mancuso sottolinea che questi temi, che incidono sulla vita concreta delle persone, vengono trattati dai politici «con disprezzo intriso d’oggettiva ignoranza e pregiudizio».
La Commissione europea ha annunciato oggi di avere inviato ai tre Stati membri “lettere d’ingiunzione relative a problemi manifesti concernenti il pieno recepimento delle disposizioni che vietano ogni discriminazione basata sulle tendenze sessuali”, ha detto Cappato.
“Si prevede che nei prossimi mesi la Commissione prenderà un’ulteriore decisione per quanto riguarda i provvedimenti per infrazione”, ha aggiunto.
L’argomento è di attualità in Italia dopo che la senatrice Pd Paola Binetti, dell’area teodem, ha negato il proprio voto di fiducia al governo sul decreto sicurezza la scorsa settimana per protesta contro la norma sulla parità di genere introdotta con un emendamento della sinistra radicale
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ArciGay: «Non voteremo più questa maggioranza» - 11 Dicembre 2007
«Sia chiaro fin d’ora che non dimenticheremo, in occasione delle prossime elezioni politiche, chi tra qualche giorno intenderà cancellare le norme antidiscriminatorie contenute nel decreto sicurezza. Se, come ha detto Benigni, questa maggioranza ha vinto grazie al voto di 24 mila coglioni gay, assicuriamo da oggi che molti e molti di più di costoro non si faranno più gabbare». Con queste parole Aurelio Mancuso, presidente nazionale dell’ArciGay, apre un comunicato durissimo contro l’attuale maggioranza, dopo le prese di posizione in Senato delle componenti cattoliche, a volte apertamente omofobe – viene citato il caso della senatrice Paola Binetti dell’Ulivo. L’ArciGay ricorda con preoccupazione che l’Italia sta diventando un paese dove è difficile vivere per le persone glbtq. E Mancuso sottolinea che questi temi, che incidono sulla vita concreta delle persone, vengono trattati dai politici «con disprezzo intriso d’oggettiva ignoranza e pregiudizio».
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